Domestica a servizio Ganaceto
Fin dagli inizi del ‘900 le addette ai servizi domestici sono giovani, talvolta giovanissime ragazze, pressoché analfabete, appartenenti ai ceti più umili, che si riversano in larghe correnti migratorie nelle città principali partendo dalle province a industria poco sviluppata o a scarso rendimento agricolo; giungono presso le famiglie borghesi dove risiedono temporaneamente o anche per lunghi periodi, per accudire i bambini o per svolgere i lavori domestici. È un tipo di occupazione elastica, occasionale e transitoria, utile a integrare il bilancio familiare e soprattutto compatibile con altri mestieri.
Fra le regioni che forniscono questo tipo di forza lavoro l’Emilia-Romagna è citata al primo posto già nel corso del ‘900 e il collocamento delle giovani donne avviene tramite uffici di istituzioni filantropiche, relazioni informali con portinai e negozianti, inserzioni sui giornali.
Lo stipendio, concordato solitamente con il padre senza un contratto regolare, non è certo alto e prevede, oltre a vitto e alloggio, un servizio di sette giorni su sette, dalla mattina alla sera.
Il lavoro domestico, definito “l’invisibile quotidiano”, si configura per decenni quasi del tutto gestito dall'arbitrio dei singoli; l’estrema precarietà e flessibilità risultano qualità strutturali di questa occupazione non qualificata, svolta tra le mura di casa, che per molto tempo ha avuto difficoltà ad essere riconosciuta come una vera e propria professione.
Occorre infatti attendere la legge 2 aprile 1958 n. 339 per contare su disposizioni a tutela del rapporto di lavoro domestico.